Nel corso del 2011, complice il perdurare della crisi internazionale, è ulteriormente diminuita la propensione al risparmio delle famiglie italiane, che alla fine dell'anno si è attestata intorno al 12%. A rilevare questo dato è la Banca d'Italia, l'istituto di Via Nazionale evidenzia anche una particolare propensione delle famiglie all'investimento diretto in titoli di Stato italiani e in prodotti bancari a medio e a lungo termine, che negli ultimi mesi dell’anno hanno offerto rendimenti a scadenza elevati, a fronte di rischi comunque ritenuti contenuti.
Nell'anno precedente sono state acquistate obbligazioni a lungo termine per circa 47 miliardi di euro, un valore che favorisce un incremento di quasi il 6 per cento dell'incidenza dei titoli pubblici sulla ricchezza finanziaria delle famiglie (era il 4,3% nel 2010).
Nello stesso periodo i riscatti dai fondi comuni hanno superato gli acquisti per 23 miliardi. Nonostante ciò il peso dei fondi nelle attività detenute dalle famiglie è rimasto invariato intorno al 6 per cento del totale.
Nel 2011 gli intermediari hanno risentito in misura rilevante della flessione dei patrimoni gestiti e della conseguente riduzione delle commissioni attive. L’azione di contenimento dei costi operativi, anche attraverso operazioni di riassetto societario e di gruppo, ha compensato in parte la contrazione del margine lordo della gestione caratteristica.
Al termine dello scorso anno i fondi di diritto estero hanno incrementato il proprio peso nel mercato italiano. Sulla base di dati diffusi da Assogestioni, afferma l'istituto guidato da Saccomanni, "più del 50 per cento del patrimonio riconducibile a intermediari italiani è relativo a fondi istituiti all’estero; questa quota era pari a circa il 30 per cento nel 2005".
In generale Via Nazionale stima che nel 2005 il patrimonio dei fondi aperti facenti capo a gruppi italiani costituisse circa il 90 per cento delle quote sottoscritte in Italia; nel 2011 questa percentuale si è ridotta al 73 per cento.
A livello Europeo, alla fine del 2011, i fondi istituiti da gruppi italiani rappresentavano circa il 5 per cento del patrimonio dei fondi comuni aperti europei. L’erosione delle quote di mercato dell’industria italiana riflette sia le diverse dinamiche della raccolta netta, sia il processo di consolidamento dell’industria finanziaria in Europa.
La Banca Centrale italiana sostiene che il settore dei fondi comuni in Italia abbia in parte risentito delle strategie di offerta dei gruppi bancari che svolgono un ruolo rilevante sia negli assetti proprietari delle società di gestione del risparmio (SGR) sia nella distribuzione delle quote di fondi comuni.
La relazione dedica spazio anche ai recenti cambiamenti normativi: il recepimento della direttiva comunitaria UCITS IV, con la relativa emanazione della disciplina secondaria di attuazione da parte della Banca d’Italia e dalla Consob, e la riforma della tassazione dei fondi comuni di investimento di diritto italiano che ha allineato la tassazione dei fondi italiani a quella degli omologhi fondi di diritto estero. Un provvedimento, quest’ultimo, che secondo un’analisi relativa a un ampio campione di fondi azionari, suggerisce che la riforma della tassazione abbia contribuito a ridurre in maniera economicamente e statisticamente significativa la differenza tra la raccolta dei fondi di diritto italiano e quella dei fondi di diritto estero.
In futuro, secondo Bankitalia, la riforma potrà anche contribuire a una più efficiente gestione dei portafogli, permettendo ai fondi di riassorbire il risparmio di imposta accumulato sotto il precedente regime fiscale.